«L’uomo discende dalla scimmia» è la più nota tra le letture che distorcono la concezione evoluzionista. Il darwinismo non ha mai sostenuto ciò. Correttamente si dovrebbe affermare, invece, che tutte le specie viventi sono imparentate tra loro, avendo un’origine comune. La figura che Darwin tracciò per rappresentare i processi di speciazione del vivente fu infatti quella dell’albero con le sue ramificazioni, mentre per decenni ci è stata somministrata l’immagine famosa dello scimmione curvo e peloso che in progressione perde il pelo e diviene eretto.Le scoperte recenti basate sulla genetica hanno ormai smontato questa visione, ed anzi hanno permesso di ricostruire la storia che ha portato il genere homo ad approdare alla varietà sapiens. È una storia di migrazioni, tutte dall’Africa, ma ciò era già noto. Si è capito però da poco che queste furono in realtà più d’una; si pensa ad almeno quattro ondate in tempi successivi, verso l’Europa e verso l’Asia (più tardi in Australia e in America). È stato appurato che dei gruppi appartenenti alle due ultime migrazioni portavano già con sé una loro primitiva cultura (sepolture, graffiti, strumenti musicali, ornamenti per abbellire il corpo). Si è anche scoperto dalle sequenze dei Dna che noi sapiens discendiamo tutti da un ristretto gruppo umano originario costituito da appena 25mila individui circa situato in Africa meridionale. Siamo tutti un’unica grande famiglia dunque. Questi migranti si propagarono poi per il mondo e, secondo alcuni, anche i fonemi si diversificarono mano a mano che ci si allontanava dal nucleo di partenza, e dunque anche tutte le lingue attuali deriverebbero da una protolingua comune. Nel luogo di origine (attuali Namibia meridionale, Botswana, parte settentrionale del Sudafrica) hanno lasciato tracce presso l’attuale popolazione Kosai (prima noti col termine un po’ dispregiativo di Boscimani) di quella lingua unica, parente lontana della lingua primordiale. I Kosaj parlando emettono suoni simili a degli schiocchi che nessun altro parlante al mondo sa imitare.Allo stesso tempo anche le prime innovazioni culturali su menzionate lasciavano il luogo d’origine (l’Africa del Sud ma anche il Corno d’Africa) espandendosi dappertutto. La nascita della creatività si pensa risalga a circa 75mila anni fa. Quale la ragione? Escluse dagli studiosi cause biologiche, come l’aumento delle dimensioni del cervello, che c’è stato sì, ma aumentava da tempo e che comunque non avvenne repentinamente. E dunque, che cosa avevano di speciale questi esseri per poter colonizzare il mondo? Si pensa che la nostra fortuna sia stata l’acquisizione del linguaggio articolato. Suggestive allora le spiegazioni proposte, che metterebbero in relazione la nascita del linguaggio con la riduzione del periodo di gestazione, sorta di interruzione della gravidanza, negli altri mammiferi molto più lunga. Si assiste inoltre all’allungamento del periodo adolescenziale nei cuccioli di sapiens, e quindi un prolungato rapporto stretto con la madre, cosa che avrebbe aumentato la comunicazione (negli altri mammiferi esso è molto più breve). Quello spazio di fragilità creato dal prolungamento del periodo adolescenziale sarebbe stato allora la nostra forza. Infatti nel rapporto tra cucciolo e madre si stabilì un codice arbitrario che si estese a tutta la famiglia e poi a tutta la comunità giacché ne fu riconosciuta la funzionalità. Il «suggerimento» del cucciolo alla madre avvenne sotto forma di scelte combinatorie di suoni da associare a sensazioni, bisogni, oggetti. Insomma: sarebbero stati i bimbi ad inventare il linguaggio articolato. Sul Web sono ancora scarse le possibilità di approfondire, con l’eccezione della cospicua produzione del biologo evoluzionista, divulgatore e filosofo della scienza Telmo Pievani; in particolare segnaliamo i suoi numerosi video su You Tube).
Aggiungiamo che gli ultimi ritrovamenti hanno mostrato che non siamo stati soli, ma che sulla Terra abbiamo convissuto con altre cinque forme umane, spesso mescolandoci ed a volte anche accoppiandoci. Oltre al Neanderthal, ci fu una popolazione in Asia centrale, quella rappresentata dall’uomo di Denisova; due popolazioni di pigmei, una a Giava e l’altra a Flores (Indonesia); una recente, non ancora denominata, in Sudafrica. Tali sorprendenti affermazioni sono frutto degli studi di genetica delle popolazioni e sono ormai confortate dalle prove ottenute dalla decodificazione di geni prelevati su tutto il pianeta, sia di individui viventi, sia di fossili dei nostri antenati. In tale decisiva attività di ricerca si è distinto il nostro Luca Cavalli Sforza.Accade così che oggi si possano avanzare ipotesi sul perché siamo rimasti solo noi e le altre forme umane si siano estinte. Non si sarebbe trattato di uno scontro cruento ma di pressione dovuta ad espansione demografica, provocata dalla ricerca di nuove risorse. Prendiamo per esempio il caso dei Neanderthal. Essi, arrivati dall’Africa con migrazioni precedenti, furono incrociati da noi in Medio Oriente, si pensa lungo la valle del Giordano (Galilea). Un gioco migratorio, quello degli spostamenti per cui possiamo affermare che noi non saremmo umani se non fossimo stati migratori. È provato che ci furono degli accoppiamenti tra forme umane diverse e questo ha indotto qualcuno a porsi un interrogativo: sarà ascrivibile alla differenza genetica degli antenati la successiva difficoltà di relazione tra popoli, che perdura sino ai giorni nostri, in quella martoriata regione?La conclusione più interessante di tutto ciò è che il passaggio dall’evoluzione biologica a quella culturale si è verificato per la prima volta in Africa del Sud circa 80mila anni fa. Come se l’uomo fosse nato due volte: prima una nascita anatomica, poi una nascita cognitiva. Un salto verificatosi rapidamente che darebbe torto agli evoluzionisti gradualisti (quelli appiattiti su una visione ultra darwiniana di una selezione che lavora con estrema lentezza) e che darebbe ragione, anche se solo in parte, ai «punteggiatori» (S.J. Gould, teoria degli equilibri punteggiati). Attenzione. La posizione di questi ultimi piace agli anti evoluzionisti che vi vedrebbero, ma si sbagliano, una sconfessione di Darwin, giacché è sempre la selezione naturale a guidare il processo evolutivo. Piace anche ai teologi, poiché in uno di tali salti possono ipotizzare l’immissione dell’anima. Ragionamento confuso; gli si può chiedere infatti «quando sarebbe successo?» Con l’Homo habilis? Ma allora avranno ereditato l’anima una buona dozzina di forme umane poi tutte estinte tranne noi.La Chiesa cattolica non respinge più la teoria darwiniana, date le evidenze scientifiche ormai accumulatesi, preferendo rifugiarsi nel concetto di «disegno intelligente» da parte di un ente superiore. C’era da aspettarselo. Lo stesso Darwin aveva previsto che ci sarebbero voluti secoli fino a che la gente fosse stata in grado di accettare le conclusioni a cui egli era giunto. E, ci spiegano gli scienziati evoluzionisti, questo accade perché la mente umana, per la sua storia adattativa, è predisposta ad accettare percorsi finalisti: fatti e azioni hanno senso solo se c’è uno scopo, come se altrimenti sia tutto inutile. Difficile accettare che le cose accadano per caso, quindi subentrano le credenze, la superstizione, la religione. Si dice così che l’evoluzione darwiniana sia controintuitiva, dura da assimilare per un essere che ha nel suo bagaglio cognitivo il ricordo delle paure di quando è stato preda e non predatore, condizione questa appurata dai ricercatori (una lucida descrizione della mentalità finalistica umana è contenuta nel libro di Pievani, Vallortigara, Girotto Nati per credere; considerazioni egualmente fruibili sul video You Tube che porta lo stesso titolo).