C’è un libro che tutte le persone con la tendenza a dimenticare il passato farebbero bene a leggere. Questo libro s’intitola I volenterosi carnefici di Hitler. Pubblicato nel 1996, suscitò subito un grande scalpore.
Il suo autore, un professore di Harvard chiamato Daniel Jonah Goldhagen, affrontò la questione dello sterminio degli Ebrei da un punto di vista nuovo: avrebbero potuto gli esecutori materiali dello sterminio — cioè i soldati tedeschi, le varie milizie poliziesche, i fiancheggiatori polacchi, russi, rumeni, ecc. — rifiutarsi di eseguire gli ordini dei loro superiori?
La risposta di Goldhagen, documentata con una messe di fatti ricavati dalla minuziosa rilettura degli archivi e delle testimonianze, è sconvolgente.
Contrariamente a quello che si è sempre creduto, cioè che la macchina dello sterminio fosse un meccanismo impersonale governato dall’alto, Goldhagen mostra come in innumerevoli occasioni i carnefici avrebbero potuto rifiutarsi senza conseguenze, o con minimi disagi, di esercitare il loro terrificante compito di boia.
In Uomini comuni Christopher Browning analizza i verbali degli interrogatori postbellici di 210 uomini che avevano fatto parte del Battaglione 101: 500 poliziotti riservisti (uomini comuni per l’appunto), che fra il 13 luglio 1942 e il 5 novembre 1943 assassinarono almeno 38 000 persone e parteciparono al rastrellamento e alla deportazione a Treblinka di altri 45 000 Ebrei.
E si chiede: che cosa pensavano, mentre partecipavano alla ‘soluzione finale’? Come giustificavano il proprio comportamento? Perché obbedirono così efficientemente e prontamente agli ordini?
La sua risposta è che un uomo comune può diventare uno spietato macellaio dei propri simili per puro spirito di emulazione e desiderio di carriera.
I sentimenti più banali e più apparentemente innocui possono essere i motori della più estrema inumanità, in circostanza adatte. E pochi sono coloro che scelgono con coscienza, e rifiutano di obbedire.
Daniel Goldhagen riesaminando gli stessi documenti ne deduce, in volontaria polemica con Browning, che i Tedeschi delle Einsatzgruppern erano mossi da disumanità, da totale insensibilità per le sofferenze altrui, dal desiderio di onnipotenza.
Le due tesi non si elidono necessariamente a vicenda, ma si possono integrare per interpretare il processo che ha condotto molti uomini apparentemente davvero comuni a diventare indubitabili carnefici, volonterosi carnefici.
I riservisti del 101 sono operai, impiegati, commercianti, artigiani arruolati da poco. Uomini semplici, reclutati per estrema necessità. Non sono nazisti né fanatici antisemiti
Questi uomini, dunque, non sembravano essere un gruppo molto promettente per il reclutamento di esecutori al servizio dell’utopia razziale nazista.
Nel 1942 Odilo Globocnik, capo della polizia e della SS di Lublino, si trovò nella ‘necessità’ di trovare la manodopera necessaria per radunare gli ebrei nei ghetti, deportarli, o sterminarli sul posto là dove non c’era a disposizione la ferrovia.
Oltre ai reparti di SS e di altre polizie militari e politiche, ricorse anche all’arruolamento della Ordnungpolizei (ORPO), cioè alla polizia civile. Ricorse anche a volontari ucraini, lettoni, lituani, reclutati fra i prigionieri di guerra, offrendo loro una via di scampo alla probabile morte per fame. Questi Hilfwillige o HIWI (letteralmente: aiutanti volontari) vennero addestrati dalle SS.
Il primo omicidio di massa commesso dal Battaglione 101 è l’uccisione di 1.500 ebrei il 13 luglio 1942 nel ghetto di Józefów, a circa 100 chilometri a sud di Lublino.
Quella mattina il battaglione è composto da 500 uomini e prima della partenza, verso il ghetto di Józefów, riceve una grande quantità di munizioni e una generosa fornitura di alcolici extra.
Appena arrivati, il maggiore Wilhelm Trapp si prepara a spiegare l’incarico ricevuto al battaglione.
È un poliziotto di carriera di cinquantatré anni chiamato affettuosamente dai suoi soldati “Papà Trapp”.
Un poliziotto ricorderà che Trapp affermerà che gli ebrei istigano il boicottaggio americano della Germania e che quelli del villaggio sono in combutta con i partigiani.
Il Battaglione 101, perciò, ha ricevuto l’ordine di rastrellare tutti gli ebrei.
I maschi abili al lavoro devono essere separati dagli altri e portati al campo KL Lublin. Gli ebrei restanti, vecchi, donne e bambini devono essere fucilati sul posto.
Dopo aver quindi spiegato cosa gli aspetta, fa una proposta insolita: se qualcuno tra i poliziotti non si sente all’altezza del compito affidatogli, può fare un passo avanti ed essere esonerato.
Dei 500 uomini schierati difronte a Trapp quella mattina, solo dodici faranno un passo avanti.
Tutti gli altri, a fine giornata, avranno le uniformi grondanti di sangue e materia cerebrale, a causa della loro inesperienza nelle fucilazioni.
Un poliziotto, che ammette di aver ucciso venti ebrei prima di rinunciare, fornisce una descrizione atipica del suo stato d’animo quel mattino del 13 luglio: “Pensavo di poter padroneggiare la situazione…fu solo diversi anni dopo che ciascuno di noi divenne davvero consapevole di quanto era accaduto … Solo in seguito mi resi conto che non era giusto”.
Oltre alla facile scusa secondo cui non partecipare alle fucilazioni non avrebbe in nessun caso cambiato il destino degli ebrei, i poliziotti elaborarono altre giustificazioni del loro comportamento. La più sorprendente è forse quella fornita da un operaio metallurgico di Bremerhaven:
“Tentai di uccidere solo bambini, e ci riuscii. Siccome le madri tenevano i bambini per mano, il mio vicino uccideva la madre e io il figlio, perché ragionavo tra me che dopotutto, senza la madre, il figlio non avrebbe più potuto vivere. Il fatto di liberare i bambini che non potevano più vivere senza le madri mi pareva, per così dire, consolante per la mia coscienza.”‘ (cit. Uomini Comuni).
È solo il primo massacro compiuto dal Battaglione 101. Il gruppo di soldati comuni uccide altre 38mila persone e collabora alla deportazione a Treblinka e allo sterminio di oltre 45mila ebrei.
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Michele Donati.
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